Disturbo da stress


Cos'è lo stress?

Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali percepiti dalla persona come eccessivi. Lo stress eccessivo può facilmente portare numerosi disturbi da stress.

Il termine stress fu impiegato per la prima volta nel 1936 da Hans Selye. Questi lo definì come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”. In base al modello di Selye, il processo stressogeno si compone di tre fasi distinte:

  1. fase di allarme: il soggetto segnala l’esubero di doveri e mette in moto le risorse per adempierli;
  2. fase di resistenza: il soggetto stabilizza le sue condizioni e si adatta al nuovo tenore di richieste;
  3. fase di esaurimento: in questa fase si registra la caduta delle difese e la successiva comparsa di sintomi fisici, fisiologici ed emotivi.

La durata dell’evento stressante porta a distinguere lo stress in due categorie. Quello acuto, che si verifica una sola volta e in un lasso di tempo limitato; quello cronico, cioè quando lo stimolo è di lunga durata.


Lo stress cronico

Gli stress cronici possono essere ulteriormente distinti in stress cronici intermittenti e stress cronici propriamente detti. I primi si presentano ad intervalli regolari, hanno una durata limitata, e sono quindi più o meno prevedibili. I secondi sono invece rappresentati da situazioni di lunga durata che investono l’esistenza di una persona. Diventano stressanti nel momento in cui rappresentano un ostacolo costante al perseguimento dei propri obiettivi.

Oltre alla durata, è importante anche la natura dello stressor. Possiamo avere stressor benefici, detti eustress, che danno tono e vitalità all’organismo. Ma anche stressor nocivi, detti distress, che possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie.


Fattori stressanti

Lo stress può essere provocato da:

  • eventi della vita sia piacevoli che spiacevoli (ad esempio: matrimonio, nascita di un figlio, morte di una persona cara, divorzio, pensionamento, problemi sessuali);
  • cause fisiche: il freddo o il caldo intenso, abuso di fumo e di alcol, gravi limitazioni nei movimenti;
  • fattori ambientali: la mancanza di un’abitazione, ambienti rumorosi, inquinati sono fattori determinanti di un certo stato di stress;
  • malattie organiche: quando il nostro corpo è affetto da una malattia, l’intero organismo, nel tentativo di difendersi, si pone in uno stato di tensione che, nella maggior parte dei casi, per le scarse difese in grado di apportare, sfocia in una condizione di stress;
  • cataclismi.


Sintomi dello stress

I sintomi da stress possono essere suddivisi in quattro categorie. 

Sintomi fisici

  • Mal di testa
  • Dolore di schiena
  • Indigestione
  • Collo e spalle tese
  • Dolore allo stomaco
  • Tachicardia
  • Sudorazione delle mani
  • Extrasistole
  • Agitazione e irrequietezza
  • Problemi di sonno
  • Stanchezza
  • Vertigini
  • Perdita di appetito
  • Problemi sessuali
  • Suoni (tintinni, fischi) nelle orecchie 


Sintomi comportamentali
  • Digrignare i denti
  • Attitudine alla prepotenza
  • Aumento dell’uso di alcolici
  • Mangiare compulsivamente (fame nervosa)
  • Criticare gli altri
  • Impossibilita’ di portare le cose a termine


Sintomi emozionali
  • Piangere
  • Enorme senso di pressione
  • Nervosismo, ansia
  • Rabbia
  • Sentire che non c’e’ nessun significato nel vivere
  • Solitudine
  • Tensione; sentire di essere sul punto di esplodere
  • Infelicità senza un motivo valido
  • Sentirsi impotenti a cambiare le cose
  • Essere facilmente agitati o sconvolti


Sintomi cognitivi
  • Problemi a pensare in maniera chiara
  • Impossibilità nel prendere decisioni
  • Dimenticare le cose o distrarsi facilmente
  • Pensare di scappare via
  • Mancanza di creatività
  • Preoccuparsi costantemente
  • Perdita di memoria
  • Perdita del senso dell’umorismo

I disturbi psicologici correlati allo stress sono: Disturbo post traumatico da stress, disturbo acuto da stress, disturbi psicosomatici (asma bronchiale, ipertensione arteriosa, colite, eczema cutaneo, alopecia psicogena, ulcera gastro-duodenale), fibromialgia, depressione, disturbo bipolare, disturbi d’ansia, disturbi della sfera sessuale, disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia).



Cura dello stress

Un livello elevato di stress può essere ridotto facendo ricorso a tecniche di rilassamento, meditazione mindfulness, neurofeedback, e sopratutto alla psicoterapia cognitivo comportamentale.

Le tecniche di rilassamento mirano a controllare e gestire le risposte fisiologiche. Imparando a controllare queste reazioni, l’individuo può sfruttarle a suo vantaggio per la “cura dello stress“, raggiungendo uno stato di rilassamento piuttosto che di tensione. Le tecniche di rilassamento più efficaci sono: il Jacobson, il training autogeno, il Biofeedback.


Trauma


Cos'è il trauma?

La parola trauma deriva dal greco e significa danneggiare, ledere, contiene inoltre un duplice riferimento a una ferita con lacerazione, ed agli effetti di uno shock violento sull’insieme dell’organismo. Il termine è stato usato in psichiatria e psicologia clinica per indicare l’effetto dominante di uno stimolo sulle capacità dell’individuo di farvi fronte. il trauma psicologico è un evento che, per le sue caratteristiche, risulta “non integrabile” nel sistema psichico pregresso della persona, minacciando di frammentare la coesione mentale. L’esperienza traumatica può rimanere dissociata dal resto dell’esperienza psichica, causando una sintomatologia dissociativa.

Esperienze traumatiche diverse sono associate a differenti probabilità di sviluppare un disturbo post traumatico perché l’effetto sulla persona dipende dal tipo e dalla gravità del trauma subito.
Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Esistono i “piccoli traumi”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Si possono includere in questa categoria eventi come un’umiliazione subita o delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia. Accanto a questi traumi di piccola entità si collocano i grandi traumi , ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. A questa categoria appartengono eventi di grande portata, come ad esempio disastri naturali, abusi, incidenti etc.


Trauma e psicopatologia
Nel DSM-5, la diagnosi dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti è l’unica a tenere in considerazione fra i criteri diagnostici l’aspetto eziologico, il trauma appunto. Tra questi si osservano:

  • Disturbo reattivo dell’attaccamento
  • Disturbo da impegno sociale disinibito
  • Disturbo da stress post-traumatico (PTSD) 
  • Disturbo da stress acuto
  • Disturbi dell’adattamento e altri due disturbi con altra o senza specificazione.

In particolare per lo sviluppo di un PTSD (DSM-5; APA, 2013) è necessario che: 

  1. la persona sia stata esposta a un trauma, quale la morte reale o una minaccia di morte, grave lesione, oppure violenza sessuale (criterio a) facendo un’esperienza diretta o indiretta dell’evento traumatico oppure venendo a conoscenza di un evento traumatico violento o accidentale accaduto ad un membro della famiglia o ad un amico stretto. Traumatica è anche l’esposizione ripetuta o estrema a dettagli crudi dell’evento traumatico come ad esempio succede ai primi soccorritori che raccolgono resti umani o agli agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi su minori.
  2. Sintomi intrusivi correlati all’evento traumatico insorgano dopo l’evento traumatico,(criterio b): ricordi, sogni, flashback che possono portare alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante. Può esserci intensa o prolungata sofferenza psicologica e reattività fisiologica in risposta a trigger che simboleggiano o assomigliano al trauma.
  3. Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico che viene messo in atto dopo l’evento traumatico (criterio c). Interessa sia fattori interni come ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico, che fattori esterni quali persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti e situazioni che possono suscitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico.
  4. Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associate all’evento traumatico si manifestano dopo l’evento traumatico (criterio d). La persona può non ricordare qualche aspetto importante dell’evento traumatico, sviluppare persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative su se stessi, gli altri, o sul mondo. Possono manifestarsi pensieri distorti e persistenti relativi alla causa o alle conseguenze dell’evento traumatico che portano a dare la colpa a se stessi oppure agli altri. Si può inoltre sperimentare uno stato emotivo negativo e provare sentimenti persistenti di paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna, una marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative, sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri o incapacità di provare emozioni positive come felicità, soddisfazione o sentimenti d’amore.
  5. Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento traumatico si manifestano dopo l’evento traumatico (criterio e) come comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia (con minima o nessuna provocazione) tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti, comportamento spericolato autodistruttivo, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione, difficoltà relative al sonno come difficoltà nell’addormentarsi o nel rimanere addormentati oppure sonno non ristoratore.
  6. La durata delle alterazioni descritte è superiore ad 1 mese (criterio f).
  7. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (criterio G).
  8. Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza come ad esempio farmaci o alcol o a un’altra condizione medica (criterio H).
A seguito di un evento stressante, oltre a sviluppare un PTSD, si possono manifestare anche "sintomi dissociativi di depersonalizzazione" (sentirsi distaccati dai propri processi mentali come se si fosse un osservatore esterno al proprio corpo) e "derealizzazione" (persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell’ambiente circostante).

Trauma e attaccamento

La descrizione del disturbo da stress post traumatico non coglie la dimensione evolutiva del trauma, collocandolo in un contesto temporale circoscritto e definendo le conseguenze che esso provoca come un insieme di sintomi direttamente collegati a uno o più episodi di abuso o di violenza; lo sviluppo infantile di un bambino traumatizzato subisce però un danno pervasivo che si manifesta attraverso segni e modalità più complessi.

I membri della Developmental Trauma Disorders Taskforce (istituita all’interno del NCTSN – National Child Traumatic Stress Network) hanno identificato un costrutto diagnostico definito “disturbo traumatico dello sviluppo” (Developmental Trauma Disorder – DTD) per includere tutti quei sintomi ricorrenti nei bambini che hanno storie traumatiche. Diversi clinici e ricercatori esperti di patologie correlate ai traumi hanno proposto varie diagnosi, molto simili fra loro, che permettessero di identificare anche negli adulti gli esiti psicopatologici di traumi relazionali ripetuti e cumulativi subiti nell’infanzia: Disturbo Traumatico dello Sviluppo (Van der Kolk, 2005) e PTSD complesso (Herman, 1992), per citarne alcuni. Sembra, infatti, esserci un buon accordo sul fatto che la vulnerabilità conseguente a itinerari di sviluppo traumatici riguardi principalmente funzioni integratrici di memoria e coscienza ed esiti pertanto in sintomi dissociativi (Liotti e Farina, 2011).

L’iniziale sintonizzazione fra madre e bambino è corporea ed avviene attraverso reciproche interazioni sensomotorie. La madre regola l’arousal del bambino e lo aiuta a rimanere in uno stato ottimale, ponendo così le basi per le successive capacità di autoregolazione del bambino. Un attaccamento insicuro, ed in particolare l’attaccamento disorganizzato, si evidenzia anche nel corpo, nei movimenti non integrati e non armonici, nella difficoltà di utilizzare le capacità di autoregolazione e/o le capacità di regolazione interattiva dell’arousal.

Esperienze traumatiche di abuso (maltrattamento e trascuratezza) all’interno della relazione di attaccamento conducono ad un arousal cronicamente accresciuto o all’alternanza di stati di iper e ipoarousal, mentre esperienze di abbandono portano ad un appiattimento affettivo dovuto al cronico abbassamento dell’arousal.
L’iperattivazione cronica del sistema di difesa che si verifica nel caso di esperienze infantili traumatiche fa sì che esso domini sugli altri sistemi d’azione (come la socialità, l’esplorazione, il gioco, ecc) innescando tendenze automatiche all’azione che perdurano per tutta la vita e possono dunque risultare maladattive in situazioni diverse da quelle (minacciose) che le hanno inizialmente elicitate.
L’aver subito, durante l’infanzia, esperienze traumatiche nell’ambito della relazione di attaccamento incide in modo diretto sulla formazione dei neuroni specchio; ciò significa che l’attaccamento compromesso da un trauma rappresenta un attacco massivo all’integrazione interpersonale. In altre parole, anche a livello neuronale è possibile constatare come le esperienze traumatiche condizionino negativamente le abilità introspettive e le capacità relazionali del soggetto.

Una delle conseguenze dell’attaccamento traumatico è che l’interazione sociale non è più fonte di sicurezza: ciò pone le premesse per un atteggiamento conservativo, osservabile nelle persone che hanno subito dei traumi, le quali sono portate ad interpretare le situazioni neutre come situazioni potenzialmente pericolose da cui bisogna difendersi.

Trauma e dissociazione

Un punto importante su cui si è discusso molto negli ultimi anni è se la dissociazione sia o meno una risposta adattativa al trauma, come estrema protezione dall’esperienza dolorosa (Steinberg e Schnall, 2001). Sebbene l’ipotesi più diffusa sia quella che concepisce i sintomi dissociativi come difesa, alcuni autori, fra cui Liotti, sostengono, in maniera piuttosto convincente, che la dissociazione sia “una disgregazione primaria del tessuto della coscienza e dell’intersoggettività, mentre la protezione dal dolore è un aspetto secondario e collaterale che fra l’altro spesso fallisce” (Liotti e Farina, 2011, pg. 85).


Trauma e vergogna

La vergogna e l’odio verso se stessi sono costantemente esacerbate dalle credenze e dai significati che le vittime di violenza hanno attribuito e continuano ad attribuire alle esperienze di paura e umiliazione. Questa emozione fin da subito mostra il suo paradosso: parlare di vergogna tende ad accrescerla, non parlarne lascia sole le parti infantili che vivono cronicamente imbarazzate. Esprimere empatia può attivare imbarazzo e suscitare senso di inferiorità, ma ristrutturare i successi e gli obiettivi raggiunti può innescare la vergogna di non sentirsi all’altezza o di non meritarli. Nel trauma complesso la vergogna assume un ruolo così centrale da determinare un bloccante e pervasivo senso di inadeguatezza a vivere il presente, difficile da afferrare e, dunque, trattare.

La vergogna sperimentata è spesso rinforzata da un atteggiamento critico e sprezzante dei caregiver abusanti o maltrattanti, andando ad alimentare un circolo vizioso di significati personali che rinforza l’emozione di vergogna e inadeguatezza e alimenta il comportamento di sottomissione. Questo circolo vizioso trasforma così nel tempo un’emozione congrua e adattiva della vittima in un’arma che l’aggressore riesce ad usare per mantenere il suo status e confermare il suo potere. Nei bambini i significati negativi cui sono stati continuamente esposti, diventano credenze e idee di sé stabili nel tempo.

Le credenze che troviamo negli adulti possono essere le stesse anche a distanza di anni e anche a seguito di una buona elaborazione delle memorie traumatiche, proprio perché i belief legati alla vergogna continuano a vivere slegati dagli eventi che li hanno provocati. La persistenza delle risposte di vergogna e dei pensieri di auto-biasimo creano dunque una barriera importante alla remissione completa dei sintomi o alla possibilità di condurre una vita soddisfacente.

La vergogna si può manifestare nel presente: sia attraverso la riattivazione diretta del ricordo traumatico; come una reazione a situazioni sociali negative che attivano una memoria implicita di paura del rifiuto e umiliazione (ad esempio, può manifestarsi come difficoltà ad affermare le proprie opinioni, ad essere assertivi o a dire ‘no’); oppure come una reazione ad uno schema cognitivo interno che può essere suscitato sia da fallimenti, che confermano le credenze disfunzionali su di sé, sia da situazioni di successo che contrastano con le credenze nucleari di inadeguatezza e indegnità.
Spesso questa barriera nell’adulto emerge come un loop ruminativo di pensieri legati alla presunta assenza di valore o di capacità, o come feroce autocritica, o con sentimenti di colpa e responsabilità legati a grave inadeguatezza e insufficienza personale: quello che in tutti i casi si determina è un blocco della prospettiva personale e una difficoltà nel definire e raggiungere obiettivi di vita importanti.


Serafino Parisi - MioDottore.it